The stiff shoulder o spalla congelata
La capsulite adesiva, nota anche come spalla congelata, è una condizione infiammatoria caratterizzata da rigidità della spalla, dolore e significativa perdita del range di movimento sia attivo che passivo, con conseguente disabilità funzionale.
La capsulite adesiva ha una prevalenza di circa il 2%-5% nella popolazione generale. L’età media di insorgenza è tipicamente di 55 anni. Vi è una leggera predominanza nelle donne (1,4:1). La precisa fisiopatologia della capsulite adesiva è sconosciuta.
La diagnosi si basa sulla definizione dell’American Academy of Orthopedic Surgeons, che sottolinea lo sviluppo graduale di una limitazione globale del movimento della spalla senza significative scoperte radiografiche.
La capsulite adesiva può essere classificata in forme primarie e secondarie. La capsulite adesiva primaria è generalmente idiopatica e ha un’insorgenza graduale. È spesso associata a condizioni sottostanti come il diabete mellito, malattie della tiroide, farmaci, ipertrigliceridemia o spondilosi cervicale.
La capsulite adesiva secondaria è in genere il risultato di traumi alla spalla, lesioni come rotture della cuffia dei rotatori, fratture, interventi chirurgici o immobilizzazione prolungata.
La precisa fisiopatologia della capsulite adesiva rimane incerta. L’ipotesi prevalente suggerisce che l’infiammazione inizi all’interno della capsula articolare e del fluido sinoviale, seguita da fibrosi reattiva e adesioni nel rivestimento sinoviale. L’infiammazione iniziale della capsula provoca dolore, mentre la fibrosi capsulare e le adesioni riducono il range di movimento.
Studi artroscopici della spalla affetta mostrano:
Fibrosi subacromiale: La presenza di tessuto fibroso e adesioni nello spazio subacromiale, che portano a movimenti limitati e a un impingement delle strutture della spalla.
Sinovite proliferativa: Il rivestimento sinoviale della capsula articolare può mostrare segni di proliferazione e infiammazione eccessiva, contribuendo all’ispessimento del tessuto sinoviale.
Ispessimento capsulare: La capsula articolare stessa può presentare ispessimento e fibrosi, portando a una perdita della gamma di movimento e rigidità dell’articolazione della spalla.
Questi risultati artroscopici supportano la diagnosi di capsulite adesiva e forniscono prove visive dei cambiamenti patologici che si verificano all’interno dell’articolazione.
Valutazione ed Esami:
I pazienti con capsulite adesiva solitamente presentano un’insorgenza graduale del dolore alla spalla che peggiora in settimane o mesi. Ciò è seguito da significative limitazioni nei movimenti della spalla. Il segno clinico chiave della capsulite adesiva è una riduzione del range di movimento attivo e passivo, in particolare nella flessione in avanti, abduzione e rotazione esterna e interna.
Durante un esame fisico, i pazienti con capsulite adesiva possono mostrare una diminuzione delrange di movimento gleno–merale e provare dolore durante il test. Il dolore spesso limita un esame fisico completo e accurato. Di solito, c’è una significativa riduzione del range di movimento attivo e passivo in 2 o più piani di movimento rispetto al lato non colpito.
Non vi sono test di laboratorio specifici indicati per la diagnosi di capsulite adesiva. Tuttavia, possono essere eseguiti ulteriori test di laboratorio se c’è preoccupazione per una malattia sistemica sottostante che contribuisce alla condizione.
Nella maggior parte dei casi, la diagnosi di capsulite adesiva è principalmente clinica e l’imaging non è solitamente indicato. Tuttavia, studi di imaging come una radiografia della spalla possono essere presi in considerazione se c’è una preoccupazione per una diagnosi alternativa o la necessità di valutare condizioni come fratture o altre patologie sottostanti.
Diagnosi:
In letteratura non esistono tutt’ora dei criteri diagnostici chiaramente definiti suti quali basare la diagnosi di spalla congelata; perciò, essa viene considerata a criterio di esclusione. La diagnosi di spalla è clinica, basata sull’anamnesi e sull’esame obiettivo in aggiunta all’assenza, alle indagini strumentali, di alterazioni anatomiche che possano giustificare il quadro clinico del paziente. Come visto precedentemente, la spalla congelata si manifesta fra i 40 ed i 60 anni di età con frequenza lievemente maggiore nel sesso femminile e ad alta incidenza nei pazienti diabetici. L’insorgenza dei sintomi alla spalla è insidiosa e graduale in assenza di apparente motivazione, aspetto peculiare che la differenzia dalla “spalla rigida secondaria”.
Alcuni autori hanno classificato la spalla congelata in relazione ai ritrovamenti artroscopici ed alla presentazione clinica suddividendola in 3 categorie, dando una chiave di lettura terapeutica e prognostica, a completamento delle precedenti classificazioni riportate.
La fase, definita anche “ad alta irritabilità”, è influenzata dal processo infiammatorio e caratterizzata da dolore ma senza compromissione del ROM alla spalla. La fase detta “a media irritabilità” è individuata dall’inizio del processo fibrotico e della contrattura capsulare ed è contrassegnata dall’inizio della riduzione del ROM. Infine, la fase “a bassa irritabilità” è caratterizzata dalla lieve sintomatologia ma da importante compromissione del ROM gleno-omerale
Il dolore comunemente viene descritto nella regione antero/antero-laterale della spalla ma può diffondersi a tutta la regione ed estendersi anche al braccio. Il sintomo nelle fasi iniziali della patologia ha solitamente insorgenza notturna impedisce al paziente di dormire sul lato interessato o di individuare una posizione antalgica, disturbando il sonno. Con la progressione della condizione esso viene descritto come una forte fitta percepita in gesti che richiedono ampie escursioni di movimento, in particolare in rotazione, come allacciarsi il reggiseno, spegnere la sveglia posta sul comodino o mettersi la mano dietro la testa. Nella fase avanzata il dolore è presente anche a riposo. All’esame obiettivo, nelle prime fasi della patologia la presenza di dolore a fine corsa durante la valutazione dei movimenti passivi è un aspetto caratteristico della condizione (367). Invece nel proseguo della patologia la riduzione dell’escursione articolare gleno-omerale sia nel movimento attivo che passivo su più piani di movimento, è la caratteristica maggiormente evidenziabile. Anche se non esistono dei pattern caratteristici, poiché influenzati dall’espressività della patologia, gli studi selezionati hanno individuato una perdita media di ROM rispetto alla controlaterale del 25% nei differenti piani di movimento, con maggiore coinvolgimento delle rotazioni in particolare della rotazione esterna ad omero addotto.
Tenendo in considerazione che la diagnosi di spalla congelata è clinica, l’utilizzo di indagini diagnostiche, più semplicemente delle radiografie, trova la sua applicabilità per escludere quadri clinici alla spalla che possono mimare la perdita di mobilità in rotazione esterna gleno-omerale come depositi calcifici ed in particolare degenerazioni artrosiche della testa omerale o della glena.
Opzioni di Trattamento:
La mancanza di evidenze scientifiche che provino la risoluzione spontanea della patologia e la documentata permanenza di disabilità a distanza di anni rendono fondamentale la presa in carico e il trattamento dei pazienti con spalla congelata.
Questi aspetti, assieme alla volontà del paziente, sono fondamentali e devono guidare il professionista nella gestione di tale patologia. La volontà del paziente è determinata dal trovare quanto prima la strategia terapeutica che riduca il sintomo e gli consenta un ottimale recupero funzionale della spalla.
La prima fase del management prevede l’educazione del paziente. Ai soggetti vengono quindi spiegate la natura dei sintomi, la causa, le modalità di trattamento e la prognosi associata, ed 1 compito del clinico presentare queste informazioni in modo esaustivo e personalizzato, avvalendosi delle maggiori evidenze disponibili in letteratura.
Questa fase è molto importante per costruire l’alleanza terapeutica utile a gestire lo stato di ansia e incertezza in cui spesso si trovano i pazienti.
La seconda parte del management è condizionata dal decorso patologico al momento della valutazione che può essere suddiviso in base alla sintomatologia e alla riduzione del ROM alla spalla.
Il trattamento può essere conservativo o chirurgico, quest’ultimo viene adottato nel caso di fallimento del trattamento conservativo.
Il trattamento conservativo della spalla congelata comprende un’ampia scelta di modalità terapeutiche fra le quali: l’utilizzo di farmaci antinfiammatori per via orale- farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e corticosteroidi, l’infiltrazione intra-articolare di corticosteroidi, la fisioterapia.
L’iniezione intra-articolare di corticosteroidi è uno dei trattamenti più usati in questa patologia, viene utilizzata in una fase di “alta irritabilità” della spalla, per consentire di ridurre il dolore.
In fase di media e bassa irritabilità la fisioterapia mira a gestire il dolore, mantenere o migliorare larange di movimento e facilitare il ritorno all’attività. L’approccio terapeutico specifico dipende dalla fase della condizione del paziente, dall’età, dal livello di attività e dalle comorbidità. Gli esercizi di facilitazione neuromuscolare propriocettiva (PNF) sono efficaci nel migliorare il range di movimento e diminuire il dolore.
L’approccio chirurgico alla patologia della spalla congelata è indicato nel fallimento del trattamentoconservativo o in presenza di marcata limitazione di movimento e disabilità. Lo scopo è andare a ridurre meccanicamente la fibrosi capsulare. Il trattamento in questo caso consta di due tecniche, la manipolazione in anestesia o il release capsulare.
La manipolazione in anestesia (Manipulation Under Anesthesia) è una pratica che viene effettuata in narcosi generale e/o in anestesia di plesso e consiste in un forzato allungamento multidirezionale a leva corta della capsula articolare. A confermare l’intensità della tecnica i risultati artroscopici e di imaging, eseguiti in seguito alla procedura manipolativa, evidenziano di norma la presenza di emartro, la lacerazione della capsula articolare, delle strutture legamentose, dei tessuti molli e in alcuni casi trauma osseo della testa omerale (438).
Diversi studi in letteratura descrivono la procedura sottolineandone l’efficacia nel recupero del ROM articolare e della funzionalità alla spalla nel breve periodo, ma anche le possibili complicanze e lesioni associate che presentano un’incidenza dello 0,4% circa. Fra gli inconvenienti possono esservi le fratture di omero, le lussazioni gleno-omerali, lesioni dei tessuti molli, danni cartilaginei e le lesioni da trazione del plesso.
Il release artroscopico, consente una liberazione più precisa e adeguata. Inoltre, riduce i traumidiretti ai tessuti e le possibili complicazioni rilevate con la manipolazione in anestesia.
Le strutture target dell’intervento sono il legamento coraco-omerale, I’intervallo dei rotatori e la capsula nella sua porzione anteriore e inferiore per migliorare il recupero del ROM in elevazione e rotazione esterna. Molti studi hanno confermato l’efficacia del release capsulare nel raggiungere nel breve termine gli obiettivi di trattamento anche in confronto al trattamento con corticosteroidi, alla idrodilatazione ed alla manipolazione con anestesia.
L’approccio chirurgico presenta l‘11% di recidiva mentre la manipolazione in anestesia è del 14% e può raggiungere il 38% nei pazienti diabetici. In entrambi i casi è fortemente consigliato proseguire immediatamente dopo la procedura un intenso programma riabilitativo per non perdere la motilitàacquisita e se possibile migliorarla.